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Studenti universitari e la crisi: 3 su 4 in famiglia, 4 su 10 al lavoro (Claudia Barbarisi)
I giovani italiani di oggi, più che in passato, credono nell’importanza dello studio. Nonostantetutto, hanno ancora fiducia nel titolo di "dottore", percepito come strada principale per migliorare la propria condizione economica e sociale. Quasi il 40% degli studenti universitari italiani lavora per pagarsi gli studi, che sempre più spesso, tra l’altro, sono completati da un'esperienza all'estero. Ad analizzare lo stato e le tendenze legate alle condizioni e allo stile di vita degli studenti iscritti presso le università italiane ci ha pensato la “Sesta Indagine Eurostudent, di cui si è occupato abche Il Sole 24 Ore. Da questa emerge che, nonostante la crisi abbia eroso i risparmi delle famiglie e dunque la capacità di finanziare gli studi dei figli, i ceti meno abbienti continuano ad investire nella formazione universitaria dei loro giovani, vedendo nella laurea un veicolo di mobilità sociale. E laddove i costi degli studi diventano troppo onerosi, si mettono in moto altre strategie di sopravvivenza. L’indagine di Eurostudent parte dal tempo che i giovani italiani trascorrono sui libri di testo, in dieci anni cresciuto di oltre nove ore settimanali (dalle 32 dell’inizio dei primi anni Novanta alle attuali 41),e che comprende tanto lo studio individuale quanto le lezioni frontali in aula. Tale incremento però non sembra pesare agli universitari. Interpellati sulla “sostenibilità” dei corsi di studio seguiti e sulla loro qualità, hanno risposto positivamente nel 43% e nel 61% dei casi”. Forse un segnale che, dopo un primo momento di difficoltà dovuto alle novità introdotte dalle riforme, Berlinguer prima e Moratti poi, tutti coloro i quali sono coinvolti nel sistema universitario (e dunque sia studenti che docenti) sono riusciti a trovare un buon equilibrio e a stabilizzarsi meglio rispetto al passato. Intaccata, anche se solo in parte, dalla crisi economica, che ha inciso negativamente su questo scenario, gli studenti e le loro famiglie, infatti, “non rinunciano ad investire nella formazione, ma modificano le scelte verso soluzioni che siano compatibili con le risorse disponibili. Si preferiscono sedi di studio più vicine – anche se considerate di minor prestigio – oppure si rinuncia al trasferimento a favore di una meno costosa mobilità giornaliera. Nel 50,6% dei casi, gli studenti sono pendolari, e molti di loro sono anche lavoratori: infatti proprio per tenere testa alle accresciute difficoltà economiche, circa il 40% degli studenti iscritti negli atenei italiani ha un lavoro che gli consente di non pesare sulla famiglia d’origine, con la quale spesso continua a convivere (difatti è questa la condizione di tre studenti universitari su quattro). Ma non si tratta dei tanto vituperati “bamboccioni”: l’analisi di Eurostudent tiene infatti a precisare che il permanere dei giovani nella casa paterna durante gli studi universitari (peculiarità, questa, tutta italiana) è una scelta obbligata e dettata principalmente da tre fattori: la diffusione dell’offerta formativa su tutto il territorio italiano, l’ingresso all’università di studenti adulti e, soprattutto, l’aumento dei costi degli studi, scoglio spesso insormontabile per la maggior parte dei giovani. Inoltre ciò ha coinciso con il crollo dei sostegni al diritto allo studio: il 64% degli iscritti negli atenei italiani, infatti, non ha mai ricevuto nessun contributo per i propri studi dallo Stato o esenzione dalle tasse universitarie.
Claudia Barbarisi - Economics
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