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Imitazioni low-cost del Made in Italy? Fare sistema! (Rosy Merola)
Un social “network” per contrastare i cloni esteri del prodotto italiano di qualità
Infiniti e fantasiosi sono i “cloni” del prodotto italiano di qualità: Parmezan e Mozzarella Napolact prodotti in Romania, il Parmi olandese, la Fontina svedese, la PastaMilaneza portoghese, il Lasandwich inglese, il formaggio Reggianito ed i sughi sudamericani DaVinci e CocoPazzo, i pelati SanMarzano argentini, il ParmaHam ed il Romano Cheese nordamericani, il Cambozola – imitato Gorgonzola tedesco – o ancora il californiano Barbera Cà di Solo. Moda ed agroalimentare sono in ordine di importanza, i settori più colpiti da imitazioni di iniziativa extraterritoriale. Un giro d’affari davvero redditizio: Moda (3,5 miliardi); Elettronica (1,4 miliardi); Beni di consumo (0,5 miliardi); Giocattoli (0,7 miliardi); Profumi e cosmesi (0,5 miliardi); Alimentari (0,8 miliardi); Farmaci (0,2 miliardi); Altro (0,2 miliardi); per un Totale di 7,8 miliardi. I più imitati: Formaggi (18,6 %); Pane e prodotti da forno (15 %); Carne e insaccati (13,1 %); Pasta e riso (12,2 %); Vino (10,2 %); Olio di oliva (10,1 %); Altri prodotti (5,7%); Pizza e preparati per pizza (5,4 %); Salse e condimenti (3,1%); Cibi pronti (6,6%). Attenzione, qui non si parla di “contraffazione “, ma di imitazioni, delle nostre eccellenze. La differenza è sostanziale, visto che nel primo caso si tratta di un reato perseguibile penalmente, legato all'etichettatura erronea, o falsata di prodotti che non hanno diritto al marchio ma che vengono comunque etichettate Made in Italy, impossessandosi indebitamente di quel valore aggiunto proprio della filiera italiana. L’imitazione invece è una copia low-cost dei prodotti nostrani, per i quali è specificata la provenienza d’origine diversa da quella italiana. Forse qualcosa di più subdolo della stessa contraffazione: a fronte dei 20 miliardi di euro di prodotti alimentari esportati nel 2009, ne sono circolati 60 relativi ad imitazioni di scarsa qualità venduti ad un prezzo più contenuto. Ciò che sta accadendo, soprattutto nel settore agroalimentare, è un fenomeno definito “Italian Sounding”, che “suona italiano”. Tale effetto è ottenuto attraverso l’uso di parole italiane, immagini, packaging che emulano alla perfezione i prodotti italiani. La concorrenza, spesso sleale, avviene anche nei nostri confini territoriali. Ci basti pensare al proliferare di negozi “made in China”, che riproducono fedelmente prodotti della moda, del design italiano. La crisi economica ha favorito il ricorso all’acquisto di prodotti di qualità scadente a basso costo, perché si è dovuto fare i conti con il proprio portafoglio. Tutto ciò ha inferto un durissimo colpo alla nostra economia. Oltre al fatturato sottratto alle aziende, si devono stimare anche i danni provocati ai lavoratori, alla competitività, alla redditività degl’investimenti in ricerca, innovazione e marketing. Sta di fatto che, molte delle cose che il Belpaese produceva bene, adesso altri le realizzano meglio e a più basso costo. Il made in Italy non è sufficiente da solo a sostenere l’economia di un intera nazione. Ecco perché diventa prioritaria la ricerca di una soluzione. Ed è stata questa ricerca il leitmotiv della “Conferenza dei protagonisti italiani nel mondo”, tenutasi qualche giorno fa a Villa Manin di Passariano, in provincia di Udine. A conclusione della quale, i presenti hanno convenuto che la parola d’ordine è fare gioco di squadra. Bisogna promuovere il “sistema Italia”, al fine di poter penetrare nuovi segmenti di mercato. Puntare sulla ricerca di partner esteri mediante i quali costruire il “sistema di eccellenza”. A tal proposito, ha trovato grande riscontro l’idea del giovane imprenditore 35enne friulano, Tommaso Veneroso, presidente della Confederazione imprenditori italiani nel mondo (Ciim) a New York, il quale ha messo sul web le eccellenze italiane negli Stati Uniti, per 'fare sistema' e pubblicizzare quanto realizzato dai nostri connazionali oltreoceano. Si tratta di un sito che e' stato modellato sulla base dei social network di Linkedin, di Facebook e punta ad essere un social network per le imprese. Una vetrina in cui le aziende possono mettere in vista i loro prodotti. Un software che consente loro di comunicare e scambiarsi informazioni a 360 gradi. L’idea è quella di condividere e allargare ai paesi partecipanti alla conferenza il suddetto modello, il quale dovrebbe avere il ministero degli Esteri alla 'cabina di regia'. In poche parole, per riuscire a vincere' all'estero, l’Italia dovrà imparare a parlare all’unisono, coinvolgendo Regioni, amministrazioni, Confindustria, Università e centri di ricerca. Dare meno rilievo alle coccarde, essere più pragmatici e soprattutto fare più sistema, nel vero senso della parola. Come ha affermato Veneroso: "Non usare parole tipo 'made in Italy' solamente come slogan, ma attuarle con iniziative concrete".
Rosy Merola - Economics
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